Rosada, 1959
Saggi critici
   
Nella condizione attuale la pittura di Albino Lucatello presenta una carica di significati non indifferenti, e penso che una considerazione critica di essa possa riuscire utile all’accertamento delle condizioni attuali dell’arte.
Il progressivo processo di alienazione delle arti visive verificatosi in Europa negli ultimi ottant’anni è stato costantemente affiancato dalle opinioni più diffuse dei filosofi. Tutta la cultura occidentale si è in questo periodo storico portata su posizioni più o meno consapevolmente idealistiche, che trovarono sovente il loro appoggio nella critica della scienza (convenzionalmente, contingentismo) e nella conseguente sfiducia in essa (intuizionismo, esistenzialismo). Comunque le arti visive sono riuscite in definitiva a darsi una sistemazione adeguata entro l’ambito dell’astrattismo (genericamente inteso) e del non–figurativo, dove l’opera "non significa, ma si significa". Si salvava così l’assolutezza del fatto artistico; assolutezza, direi, storicamente indispensabile alla sua dignità, dopo che i filosofi lo avevano in definitiva fatto strumento di conoscenza di quella verità più vera, che sfugge ai dati e dell’intelletto geometrizzante e dalla ragione dialettica.
Ma poteva forse la forma artistica, chiusa in se stessa come una monade, respingere più a lungo quella effetualità dell’arte che la vita stessa richiede? Evidentemente questa rottura della forma, questa sconnessione dell’opera, che il Futurismo aveva cercato fin dalle origini nel dinamismo e il Surrealismo nel paradosso, diventava inevitabile, e fu realizzata dalla pittura informale. Eppure nell’ambito di questa la non–forma resta pur sempre a significare se stessa. Se pur esce dalla tangente della forma chiusa, non perviene però ad altra realtà che a quella suggestiva ma trascendente dell’infinito.
Albino Lucatello, forse per temperamento o forse anche per condizione sociale, ha sempre rifiutato l’una e l’altra posizione, proprio per il carattere idealistico. L’arte astratta, formale o informale che sia, rifiuta a priori la possibilità di conoscere il mondo esterno, anzi, nella sua assolutezza, accantona questa posizione come dogmatica; il realismo vive invece di questa condizione dialettica che è il mondo esterno. E Lucatello è realista. La sua arte respinge ogni tentativo di interpretazione puramente sintattica, e quindi formale, è tipicamente semantica, cioè allusiva, mimetica, rinvia sempre a un oggetto, e questo oggetto è materia. Con ciò intendo dire che la pittura di Lucatello si distingue anche da altra pittura, pure semantica: l’automatismo, per esempio, che rinvia ai contenuti psichici dell’artista, e il surrealismo o il neoclassicismo, che rinviano bensì a oggetti, ma a oggetti ideali e astratti, in definitiva forme.
L’arte di Lucatello è quindi realista ponendosi come riproduzione di un oggetto materiale.
Come mai allora appare così diversa nei suoi moduli costitutivi dell’arte realista ufficiale? Come mai essa accantona gli elementi paesistici e naturalistici che servirono a designare l’arte neo–realista nel senso pittorico del termine?
Evidentemente ciò che è mutato in lui non è il senso del rapporto opera–artista–realtà; questo rapporto in lui è rimasto costante ed è la radice del suo realismo. Ciò che è mutato in lui è l’oggetto, sono le dimensioni stesse della realtà oggettiva.
Diciamolo francamente: la pittura neorealista, se poteva avere in sé le intenzioni per una nuova dimensione dell’umano, non riuscì però ad avere gli elementi per rivendicare completamente le nuove dimensioni della materia che la scienza moderna ha rivelato.
Naturalmente l’equivoco ha una giustificazione, che tuttavia non lo nega come equivoco. L’estetica marxista ha badato a giustificare l’arte nel campo del materialismo storico più che in quello del materialismo dialettico, dimenticando che se il passato dell’uomo appartiene alla storia, l’atto presente ha dalla sua la dialettica.
Il rapporto arte società ha allora preso il posto del rapporto arte materia (e in sede di integrazione culturale del rapporto arte scienza), e siccome nell’atto è la dialettica comunque a trionfare l’arte ha dovuto assolvere a una funzione educativa, instaurare un rapporto dialettico fra strutture e sovrastrutture anziché tra uomo e natura. Ora nessuno vuole negare la funzione educativa dell’arte, che le spetta in nome del posto che essa occupa nell’umano, ma bisogna ben riconoscere che il momento educativo è sempre posteriore a quello artistico, e mai viceversa. Il fatto educativo per se stesso si presenta sempre come mezzo, mai come fine e la pedagogia, per esempio, ha da preoccuparsi del come, non del che cosa si insegna, l’accertamento dei contenuti dell’educazione essendo pertinente ad altre scienze (la morale trattandosi dell’educazione integrale; le scienze particolari, trattandosi dell’addestramento a tecniche particolari).
L’arte pertanto è sempre intimamente legata al fatto educativo, in quanto essa presiede alla dinamica di questo e lo pone come mezzo e non come fine; ma appunto per questo è pregiudiziale, e non può mai tenere dietro a esso. Questo ha a mio avviso ben compreso Albino Lucatello, e la sua arte non cessa di agire nel mondo, di essere impegnata, quantunque gli oggetti dei suoi quadri rifiutino ogni carattere apparentemente rappresentativo per essere pregiudizialmente impegnato c’è pericolo risulti in definitiva oleografico e rettorico abdicando per ciò stesso alla funzione prefissasi. Per ciò Albino Lucatello attraverso questo processo batte la strada del realismo, per il carattere più accentuatamente materialista della sua pittura; perché egli mira alla qualità estetica: quella educativa viene da sé; e la sua poetica risulta per ciò stesso un approfondimento del materialismo e una coscienza della sua dialettica.
Una nuova dimensione della realtà, ovviamente una realtà a nuove dimensioni, si è aperta dinanzi ai suoi occhi. I paesaggi del Delta hanno tutti un’apertura immensa, che dà suggerimenti cosmici: la terra convessa e sudata sembra vista da uno sputnik trionfante. E da questa curvatura del cielo e della terra viene ai suoi quadri il lirismo di una prospettiva nuova, il cui spazio è pur sempre umano, perché tridimensionale, ma agito con emozionalità diversa, dove ritrovi già la preoccupazione scientifica, il bisogno di un rapportarsi al macrocosmo, l’impegno della fedeltà al proprio tempo.
Ma perché questo non sembri ovvio, Lucatello porta la sua ricerca di una realtà più attuale a un livello ancora più intimo. Le sue Nature morte sono una sfida al gusto corrente, che aveva bandito questo termine dal vocabolario artistico, e la dimostrazione che non esiste una materia poetica e una materia impoetica, ma solo la materia, e di fronte a essa l’uomo nel suo rapportarsi.
Bruno Rosada
 

Breve saggio di Bruno Rosada del 1959 sulla rivista “Evento”, (settembre–ottobre pp. 34-36) pubblicata a Venezia.

 

 


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