Cesare Mocchiutti

Testimonianze
   
Ho aderito all’invito di dare una breve testimonianza per Albino Lucatello, con una certa riluttanza, lo confesso anche perché non ho troppa dimestichezza con le lettere. Ma m’è sembrato doveroso stendere queste brevi note in omaggio all’amicizia che m’ha legato a lui e perché così mi viene offerta l’opportunità di esporre la mia opinione sulla forma del suo messaggio. Argomento, questo, che ho varie volte discusso con Renzo Viezzi che così bravamente l’ha presentato sul catalogo della Mostra alla Bevilacqua La Masa di Venezia.
Premetto che questa mia chiave di lettura non sarà certamente l’unica, essendo l’arte, oltretutto, per se stessa ambivalente.
Albino certamente amava il Friuli – ricordo una lunga passeggiata nei dintorni di Tarcento con molte soste che mi avevano reso, allora, alquanto… alticcio e non ho dimenticato i suoi entusiastici commenti per il magnifico paesaggio circostante – secondo me, egli non è stato il suo “cantore"
Né poteva esserlo perché, avendo una concezione della natura intuitivamente cosmica, non aveva la vocazione a tipicizzare i suoi temi in modi espliciti.
Il tutto era da lui sentito come pura energia: la luce, la materia erano – sono – per Albino aspetti dello stesso ordine.
Solo così si possono spiegare certe soluzioni formali che altrimenti potrebbero sembrare sconcertanti.
La massa greve, enorme dei “Musi” ridotta a evanescenti modulazioni luminose.
I “campi di grano” smaterializzati e sospesi con diafane velature, appena allusive.
Il verde dei prati, degli orti, la infinita gamma del verde degli alberi, fusi in unico verde smeraldo che tutti assume.
Anche l’uomo, così spesso citato, è risucchiato nel tutto; dissolto nel magma panico dell’energia vitale.
Queste grandi sintesi escludono a priori appunto ogni particolare, ogni caratterizzazione; “la friulanità”.
Raggiungono, tuttavia, una grande suggestione e sono la riconferma dell’estrema fiducia di Albino Lucatello nel proprio mezzo espressivo.
Caro Albino, il “maestro di Tarcento” (come Altieri era il “maestro di Capriva” e “maestro di Mossa” il sottoscritto).
Così, scherzosamente, ridendo, tra un bicchiere e l’altro, discorrendo di pittura e di pittori, di vino, di politica, di cucina friulana.
Con lui ho perso un amico e un punto sicuro di riferimento.
 

TESTIMONIANZE
(dal catalogo della mostra "20 anni di pittura", Museo d'Arte Moderna, Udine, 1988

Cesare Mocchiutti

 

 


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