Agostinelli, 2002
Saggi critici
   

“Sogno della battaglia sul Tagliamento: Una pianura, un fiume che si può dire inesistente...”
Franz Kafka, Diari 1917Veniva da Venezia Lucatello ed aveva da poco esaurito l’esperienza del Polesine ove, attraverso i “Delta”, aveva portato a maturazione quel processo che lo aveva condotto a un realismo nuovo, scevro di ogni dettame e retorica in favore di ragioni più autenticamente pittoriche, che risentivano di una viscerale radice artistica veneziana e dell’aggiornamento culturale che l’Italia intera, ma in maniera così pregnante Venezia era andata elaborando nel clima fervido del dopoguerra.
Le Biennali e le istituzioni tutte parlavano di una modernità da rifondare prestamente, alla ricerca del tempo perduto nella miopia autarchico–culturale. Ma anche fuori dai “recinti sacri” la città cui Lucatello apparteneva si dimostrava vivace e stimolante: galleristi aperti alle novità più autentiche e collezionisti attenti e preparati erano parte di un clima che l’artista viveva intensamente e di cui era divenuto parte attiva e riconosciuta.
Significative furono le amicizie artistiche e le frequentazioni culturali, cui prese parte in quegli anni; fu conferito il Premio Tursi alle opere presentate dal pittore alla Biennale nel 1956 e, a conferma della stima che la città nutriva nei confronti di questo suo artista, il Museo di Arte moderna di Ca’ Pesaro acquistò due opere che figurano nella collezione museale. Ma di quanto fossero in realtà duri, tanto dal punto di vista ideologico che artistico ed economico, i tempi veneziani per il pittore e quanto la necessità per Lucatello di natura poco incline al compromesso (“ruvido” lo definì Peggy Guggenheim quando l’artista rifiutò il suo contratto), avesse inciso sulla scelta di accettare la cattedra di Disegno dal vero all’Istituto d’Arte di Udine, è cosa nota, ma che amiamo ricordare per comprendere meglio questo artista così capace, eppure mai abbastanza riconosciuto nel panorama culturale che egli contribuì a definire.
Certamente quando approdò a Udine nel 1961 Lucatello era portatore di una cultura artistica vivace ed aggiornata, che seppe commisurare alle esigenze del clima locale di cui divenne parte attiva e per molti riferimento. Non senza un momento di riflessione e di orientamento.
Coerentemente con quello che fu sempre il suo modus operandi, conobbe, questa volta più intenso, un primo approccio muto con la realtà che lo attendeva, approccio fatto di incontri, scoperte, ritorni, appostamenti, attese.
Nei ricordi di Giselda Lucatello, era tipico del marito conoscere silenziosi periodi in cui una riflessione apparentemente cheta e una stasi produttiva celavano al contrario un fermento ed un’inquietudine interiore, cui seguivano momenti di ricerca febbrile e autentica furia operativa caratterizzati da una risoluzione pittorica presta, intensa, bruciante.
Nella concezione realista del pittore il soggetto aveva il suo significato. Non si esimeva Lucatello dalla scelta e dal riferimento puntuale alla situazione da cui traeva ispirazione: la precisava, a conferma, anche nel titolo. Fu così che nel Tagliamento individuò la coerente prosecuzione del suo agire pittorico, del suo esprimere attraverso la pittura la propria essenza culturale, la propria visione del mondo e il particolare rapporto con esso.
Il perché di questa scelta tematica, il perché proprio del Tagliamento richiede una risposta biografica, che ha acquistato nel tempo il sapore per così dire aneddotico: quel girare da veneziano, senza macchina cioè, lo aveva condotto ad utilizzare un motorino con cui era in grado di addentrarsi in ogni anfratto del territorio friulano, che batteva palmo a palmo con curiosità di scoperta e stupore insaziabile. Da Tarcento, ove abitava, partiva e si portava sul medio Tagliamento all’altezza di Osoppo. Scendeva verso Buia, Pinzano, Ragogna, Spilimbergo, ove l’ampio letto, lasciato il cono di deiezione e le colline moreniche, si apre alla pianura, che tutta attraversa primo di sfociare al mare.
Da questo “povero fiume, vasto di ghiaia”, nelle parole di Turoldo, che nella sua odierna, silente scarsità è emblema maestoso del popolo e del territorio che attraversa, Lucatello fu fortemente, subito, attratto.
Ne avvertiamo il fluire dalle prime pitture che l’artista realizzò in Friuli, da quei “Paesaggi di Buia” cioè nei quali, dopo gli orrori del Polesine, parve egli ritrovare una visione felice della natura, resa con la forza e la flagranza della scoperta. Di lì a poco il fiume acquistava autonomia di soggetto, dando vita ai “Tagliamento”, che possiamo considerare un’autentica serie, un ciclo, che investì a livello tematico la sua ricerca per poco più di tre anni, che nacque silenziosamente, conobbe momenti differenziati, si esaurì e si chiuse.
Ma al suo interno ogni opera è un autentico accadimento, dalla pregnanza e dall’incisività strabiliante e singolare.
Del Tagliamento Lucatello non intese cogliere l’insieme, il senso complessivo, il significato territoriale; non si curò della vastità del letto che arido, ma preciso nel riferimento delle genti, si snoda a dividere terre, idiomi, cuIture: ebbe per così dire, nel suo materialismo, un atteggiamento lenticolare. Si soffermò cioè su quegli accadimenti parziali, seppur precisi, che caratterizzano ed articolano la moltitudine costitutiva di un fiume che, più che fluire, pare inciampare in quella che dovrebbe essere la sua sostanza prima, l’acqua.
Furono “Gli stagni” dunque, in continuità con gli omonimi lavori veneziani, la costola adamitica da cui generò la pittura a venire.
Come già nei “Delta”, l’imprecisata situazione di rapporto terra ed acqua divenne coordinata, parametro congeniale alla espressione pittorica dell’artista.
Le buche condensano cromie su cui fondare la continuità con una ragione pittorica veneziana di cui Lucatello, maturato all’ombra dei Frari, era portatore per così dire naturale. Una tradizione coloristica secolare, in grado di attribuire alla materia cromatica valore autonomo nella costruzione compositiva e spaziale, sino alla responsabilità di unificare l’opera secondo parametri proporzionali e gravitazionali luministici scaturiva vitalisticamente nelle opere dell’artista. I brani portavano radicata questa concezione naturale cromatica, cui si affiancò una sensibilità ed una volontà che si pose il realismo quale fine senza indulgere al superamento dell’oggetto in favore della emozione, tantomeno della visione interiore.
Gli stagni acquisirono allora densità e materia che li rese partecipi di una concretezza scevra da ogni indulgenza estetizzante e li ricondusse ad un reale partecipato dall’artista per scelta etica e morale ancor prima che per propria essenza culturale.
Parve poi alzare lo sguardo Lucatello e cogliere il Tagliamento nella sua orizzontalità. Il letto e il suo rapportarsi con gli elementi primari di contesto (il greto sassoso, la riva, la vegetazione cespugliosa circostante, qualche coltivo, l’orizzonte) divenne elemento di nuovo interesse. Si addentrava l’artista in una fase analitica in cui la ricerca si faceva oggettiva e lo studio era volto alla comprensione ed alla appropriazione degli elementi più ampiamente costitutivi il fiume. Il tutto era indagato nell’accezione di un divenire continuo, che negava al fiume qualsiasi fissità.
La variazione atmosferica e luministica, il mutare delle ore del giorno e delle stagioni furono accolte quali situazioni conducenti all’incertezza che muove alla conoscenza. Ne nacquero brani attenti ad una presa non già descrittiva, ma fitta e minuziosa della sostanza stessa del Tagliamento, brani risolti attraverso punti di vista precisi e ricorrenti in grado di restituire la posizione del pittore in questo suo rapportarsi con l’elemento fiume offrendo i parametri di una visione certa, quanto precaria, del mondo.
Talora l’analisi di Lucatello si precisava in porzioni minime di fiume. Pareva l’artista guardare ai suoi piedi e indugiare su quel frammento di realtà che assurgeva a microcosmo cromatico per le scelte solari effettuate, sempre dense quanto fuggenti e mutevoli.
Nel dettaglio che priva il reale delle fondamentali coordinate, il senso di astrazione diveniva nell’osservatore irresistibile.
Ma nemico di ogni astrazione Lucatello adottò allora una soluzione radicale al fine di ricondurre in maniera inequivocabile l’opera al reale: nasceva nell’artista il prelievo, l’accoglimento cioè all’interno dell’opera di materiale di fiume che parla di costitutività primaria ed essenziale di ciò che veniva indagato. Sassi del Tagliamento spiccano nelle tele di Lucatello determinando certo un interesse compositivo primario per quell’emergere polarizzando l’attenzione, per la diversità percettiva di contesto (duro–morbido, liscio–ruvido…) che si veniva a creare, ma si generava soprattutto una disincantata e “materialista” visione del mondo che da Lucatello era attesa quanto motivata.
Il prelievo ricorre in diverse opere presenti nell’esposizione ed accompagna il percorso di questi Tagliamento, soprattutto nella fase in cui maggiore fu la tensione conoscitiva, in cui il rapporto con il fiume s’improntò sulla percezione ed elaborazione dei suoi elementi naturali.
“Andava tutti i giorni sul Tagliamento”, racconta Giselda, “quando decideva ed avviava un periodo era per lui un’ossessione”. Entrava allora l’artista nella fase più feconda dal punto di vista della quantità produttiva. Ma succedeva a un certo (e probabilmente preciso) punto, che egli diveniva pago: l’appropriazione del fuori di sé era avvenuta. Si faceva allora incontro una sorta di negazione, bisognosa di quiete, indulgente al tempo ed alla interiorizzazione di quanto elaborato, che tutto voleva corrodere prima di concedersi.
La forza dirompente, estenuata dallo sfruttamento delle sicure doti, che aveva condotto l’artista ad una vivacità espressiva e ad una risoluzione presta ed efficace, pareva decantarsi offrendo soluzioni meditate, in cui gli elementi conosciuti venivano sedimentati, catarticamente purificati.
Siamo nel 1966 e i Tagliamento divengono brani in cui la restituzione pittorica valica ogni riferimento diretto al dato naturale. Il processo di sintesi ha condotto ad approdi liberi, maggiormente mentali, in cui della realtà non resta che l’idea pacata, ma assolutamente convincente nella resa sostanziale e concettuale dell’elemento fiume. I mezzi pittorici, scarnificati, affidano al tono su tono la costitutività dell’opera.
Monocrome superfici tese, su cui improvvisi ma precisi si addensano radi corposi impasti, conducono a parametri universali gli elementi di una conoscenza oramai data e dimostrata e costituiscono il confine ultimo e assoluto dei Tagliamento di Albino Lucatello.
Francesca Agostinelli, marzo 2002

  Dal catalogo della mostra “Lucatello. Tagliamento” a cura di Francesca Agostinelli
Udine, Artestudio Clocchiatti,
23 marzo – 30 aprile 2002

 

 


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