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Scritti dell'artista
Rassegna stampa

galleria falaschi, 1979
Scritti dell'artista
   

C’è solo un modo di servirsi, e dare un senso, alla tradizione: opporsi, rompere, negare. Capire che gli agganci non sono quelli di ieri, che lo storicismo è una favola, che la mente umana è uno spazio che ha dentro il passato e il futuro.
La pittura non è mai servita a rappresentare (quello del rappresentare è, ed è sempre stato, altra cosa, e spesso un turlupinare) – la pittura è un segno che dice e si fa.
Uomo e mondo della stessa materia e con la stessa anima.
Homo sapiens non è chi arrogante si alza sul mondo, ma chi conquista coscienza, e con gesto d’amore compenetra questa terra di tragedia e di gioia.
Il tempo, senza cronologia e senza cronistoria, è dentro le cose e dentro lo spazio.
Così, l’uomo è memoria, nuova e antica: nel tempo, e nello spazio, c’è il suo grido di dolore e di piacere, che sono un continuo, perché anche nella gioia più intensa c’è, al fondo, l’urlo attutito dell’angoscia.
La storia dell’arte non è mai stata scritta, perché si è sempre cercato là dove c’era altra cosa dell’arte. Eppure capire è facile: basta aprire la mente, sgombra del ciarpame della cultura inventata, e ricevere. Al modo stesso in cui si riceve, ma quanto in pochi, il dire della natura.
Pochi a ricevere, e meno ancora a dire.
Perché la mente è viziata, e violenta, fin dal suo primo aprirsi. Io ho dipinto gli "ostacoli": sempre gli uomini sono stati o dall’una parte o dall’altra. Io ero, e sono, dalla parte dei più, con quelli con cui sofferenza e miseria hanno tolto la gioia di sentirsi vivi, con quei comunisti, ma pochi, e forse anche, non so, con quei pochissimi cristiani di allora, e con quelle menti sparse ma accese, che lottavano e che lottano non soltanto per la giustizia nella legge, ma per un uomo diverso nella struttura, che non fosse né questo né altro, che fosse uomo davvero.
Il potere annienta. I comunisti, nella struttura se non nella forma, saltano l’ostacolo risucchiati dalla flaccida melma di sempre.
Noi di qua, siamo rimasti perfino senza la speranza.
Per questo voglio staccarmi del tutto dalla pastoia nauseante, dai falsi richiami e dallo storico inganno.
E dipingo il sole, che roteando penetra nella terra come il sentimento di un uomo nella sua donna: con dolcezza, con serenità, col furore del pene nella vagina. E alberi e terra e natura. E la memoria del mondo: perché si sgretolino, fino a farsi polvere, questi monumenti di merda, e s’intravveda, se mai è possibile, una luce nel colore del mondo. Cominciando almeno a conquistarsi, nel silenzio individuale della propria mente, uno spazio di coscienza, e di vita.

È chiaro che tu non ci stai!
Tra ciò che accade in noi e ciò che si svolge attorno è sempre meno facile una mediazione, ma quand’anche ci fosse non la vorresti. Non l’hai mai voluta.
Fai quello che sai molto bene: lì c’è lo spazio per il tuo rabbioso impegno, per la tua convinzione, per la tua straripante vitalità.
Dipingere è l’humus originario del tuo essere: la tua realtà!
È il coesistere con la terra dal principio: saperti!
Dipingere è immergere sudate mani nei liberi cespugli, sentire tra le dita aperte la verde intensità delle foglie.
Dipingere è sapere il vino rosso prima di berlo.
ESTERNO ED INTERNO SONO L’IMMAGINE E LO SPECCHI DELL’IMMAGINE.
ESTERNO ED INTERNO SONO LA MEDESIMA COSA.

Renzo Viezzi

 

In occasione della mostra alla Galleria Falaschi, Passariano di Codroipo
7–31 gennaio 1979

Albino Lucatello

 

 


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