Valeri, 1967
Saggi critici
   
La pittura di Albino Lucatello, io l’ho vista nascere: qualcosa come vent’anni fa. L’ho vista nascere, e poi crescere, e felicemente maturare, fino a questo punto di tempo, 1967: ch’è ben lontano, naturalmente, dall’essere un punto fermo.
Ora, se in occasione della grande mostra udinese, mi lasciassi vincere dal sentimento in qualche modo paterno che mi lega al giovane amico, sarei certamente perdonabile e perdonato da tutti; ma sconteterei proprio lui, che desidera soltanto di essere giudicato per quel che vale, pesato per quel che pesa.
Mi farò dunque, pur se poco mi piaccia, giudice e… bilancia.
Lucatello ha, innanzi tutto, un suo temperamento artistico ben marcato: riconoscibile fin dai suoi primi saggi e sempre presente e dominante per tutto il corso ventennale del suo "fare". Egli non ha mai ceduto a impulsi, tanto meno obbedito a comandi, venuti da fuori. Non per superbia o protervia, certo; ma per bisogno di assoluta sincerità verso se stesso e verso gli altri. Da ciò la coerenza e omogeneità e profonda umiltà di tutta l’opera sua, attraverso tante vicende del gusto pittorico (anche, s’intende, del suo gusto personale) e tanti salti e capricci e pazze invenzioni della moda.
A ben guardare dentro codesta unità, che non ha nulla a che fare con la monotonia, non sarà difficile scoprire una ferma costanza d’ispirazione o, per meglio dire, di posizione del pittore di fronte alla realtà. Lucatello non ha mai cessato d’interrogare gli aspetti del mondo che lo circonda o, piuttosto, in cui si sente immerso. Realtà di uomini, ma soprattutto di cose di natura: acqua, monti, pianure, alberi, sassi. Quale verità o legge si cela dietro quei misteriosi e apparentemente fortuiti aspetti?…
Diceva Gérard de Nerval, riprendendo un antico motivo pitagorico: "la matière même un verbe est attaché…/ Souvent dans l’être obscur habite un Dieu caché". Ebbene, a me pare che Lucatello sia sempre stato, e sia tuttora, in ansioso ascolto per cogliere quel verbo, e senza posa abbia cercato e cerchi di scorgere dentro le oscure forme della materia il volto raggiante di quel Dio.
Non si parli dunque di realismo, tanto meno di surrealismo, nel senso modaiuolo che la parola ha assunto ai nostri tempi. Qui c’è un senso mistico, un’attesa forse inconsciamente religiosa, che di continuo cerca il confronto con la materia e, nel confronto e nell’urto, le infonde un’anima poetica, un indubbio significato spirituale.
Sarebbe ora da dire dei mezzi propriamente pittorici o, diciamo, tecnici di cui Lucatello dispone e si serve. Ma mi pare che su questo punto l’evidenza possa tenere il luogo di un discorso dimostrativo. Lucatello, manifestamente, è nato pittore; e la sua mano, come la sua fantasia, come il suo cuore, è mano di pittore. La pennellata, la "macchia", la sostanza stessa del colore sono caratteristicamente suoi. Che altro c’è o ci sarebbe da dire?
 

Primavera 1967
Circolo Bancario Udinese
Palazzo Kechler – Piazza XX Settembre, Udine

Diego Valeri
Venezia, 15 aprile 1967

 

 


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